Prima di Baldassarre: La Medicina che Ci Ha Creati

Cari compagni della Resistenza dell’Immaginazione,

prima di svelarvi domani le anticipazioni di Baldassarre e il Rispetto (che è tra i cinque vincitori del Premio Letterario Unitre Civitanova Marche — scopriremo sabato se sarà sul podio!), voglio condividere con voi la medicina primordiale che ha dato forma a tutto ciò che scrivo.

È la storia di una bidella di nome Lelè, di una finestra strategica, e di come mezz’ora di silenzio forzato possa trasformarsi nella più potente farmacia dell’immaginazione mai scoperta dall’umanità.

Una medicina autobiografica in forma di racconto.

Il Museo Segreto di Lelè

di Fabiano Pirozzi


C'era una volta una mezz'ora che durava un'eternità, non direi proprio “c'era” perché c'è ancora, solo che ora abita in un angolo del ricordo dove funziona la strana legge della memoria infantile: i dettagli minuscoli diventano giganteschi e le lezioni importanti svaniscono nel nulla.

Nella scuola elementare di Montone, quel borgo di pietra antica che aveva fatto un contratto con il tempo per invecchiare con grazia, ogni mattina alle 8 si consumava un rituale che aveva dell’iniziatico.

Erano i trenta minuti di attesa prima che arrivasse il secondo giro dei pulmini carichi di voci e risate, quello più affollato che portava la maggior parte degli alunni. Chi arrivava con il primo giro, come il nostro futuro esploratore dell'assurdo, si ritrovava in una specie di limbo temporale sotto la custodia silenziosa di Lelè.

Quella mezz'ora aveva un nome: si chiamava Lelè e i Sette Adepti Forzati del Silenzio delle Elementari.

Lelè, la bidella della scuola, era una donna che sembrava fatta della stessa pietra del borgo: capelli rossicci raccolti in una crocchia che non aveva mai conosciuto ribellione, vestita con abiti austeri e decorosi che sapevano di sapone e di severità silenziosa, due occhi piccoli e tondi che vedevano tutto, anche i pensieri troppo rumorosi. Non era cattiva, Lelè. Era semplicemente convinta che il silenzio fosse una medicina e che i bambini ne avessero sempre bisogno di una dose extra.

Il suo sguardo austero diceva tutto senza bisogno di parole e quella silenziosa autorità diveniva un incantesimo che trasformava sette bambini in statue pensanti. Solo quando qualcuno osava ribellarsi tuonava il fatidico "Seduti e zitti!", ma di solito bastava un'occhiata per ristabilire l'ordine cosmico del silenzio.

Ma quello che Lelè non sapeva è che stava custodendo il più prezioso museo dell'infinito mai costruito dall’umanità.

Il futuro esploratore dell'assurdo, allora aveva sette anni e credeva ancora che i grandi avessero sempre ragione, si ritrovava ogni mattina nel posto più strategico: vicino alla grande finestra che inquadrava il cortile scolastico come uno schermo cinematografico.

Fuori c'erano pini che facevano gli attori protagonisti alzando sempre le braccia verso il cielo, cespugli che recitavano la parte delle comparse fiorite, e una lunga scalinata che saliva dalla scuola verso il paese, come se i gradini fossero una scala musicale che portava dai sogni dell'infanzia alla realtà del borgo medievale.

All'inizio, il bambino cercava di ribellarsi al silenzio con tutto se stesso. "Perché non posso parlare? Perché devo stare fermo come un sasso? È ingiusto!" I suoi pensieri si agitavano come animali in gabbia, facevano più rumore dei suoi piedi irrequieti, più confusione delle sue dita che tamburellavano nervose sul davanzale della finestra. Ogni minuto sembrava un'ora, ogni secondo un piccolo supplizio dell'immobilità forzata.

"Voglio muovermi, voglio dire qualcosa, voglio esistere!" Il suo spirito ribelle lottava contro quella silenziosa prigione mattutina, cercando vie di fuga che non esistevano.

Ma poi, giorno dopo giorno, qualcosa iniziò a cambiare. Come se la resistenza stessa si fosse stancata di lottare.

Il Grande Scoppio dell'Immaginazione avvenne un martedì di novembre, quando una pigna cadde dal pino più alto proprio mentre lui la stava fissando.

TONF!

Il rumore secco sui gradini di pietra spezzò il silenzio come un tuono in miniatura. Lelè sussultò, i bambini trattennero il respiro, e lui... lui ebbe la prima visione.

"E se quella pigna fosse caduta su una testa?" si chiese. "E se quella testa, dopo il colpo, avesse iniziato a pensare al contrario? E se pensare al contrario fosse la medicina segreta per guarire dal mondo normale?”

Da quel momento, quella finestra diventò il suo primo laboratorio dell’impossibile.

Sul primo canale trasmettevano sempre "Il Teatro delle Pigne Kamikaze": episodi infiniti di ordigni color castagna siderale che si lanciavano dai rami come paracadutisti dell'assurdo, ognuno con una missione segreta di risveglio cerebrale.

Sul secondo canale c'era "I Criceti del Cielo": uccellini così indaffarati che sembravano aver bevuto troppi caffè ed essere sempre in ritardo per appuntamenti cosmici con briciole e gocce di rugiada.

Ma il terzo canale era il più misterioso: "I Cespugli del Grande Forse". Dietro quelle fronde fiorite si nascondevano porte segrete, tunnel che collegavano la scuola di Montone con tutti i castelli del mondo, passaggi che portavano direttamente nel laboratorio dove si fabbricano i sogni.

Lelè, intanto, sorvegliava il suo piccolo esercito di statue pensanti senza accorgersi che stava formando il primo Apprendista Praticante dell'Assurdo della storia.

Il profumo di gesso e di legno vecchio si mescolava al ticchettio dell'orologio da parete, mentre fuori il vento faceva sussurrare ai pini dei segreti che solo chi sta in silenzio può sentire.

Gli anni passarono. Il bambino crebbe, lasciò la scuola di Montone, dimenticò molte cose. Ma quella mezz'ora restò, nascosta in un cassetto segreto della memoria.

Un giorno, aveva ormai quarantatré anni e faceva l'insegnante, si ritrovò davanti a una classe di bambini irrequieti. Invece di urlare "State zitti!", si fermò.

Improvvisamente sentì odore di gesso e legno vecchio.

Guardò dalla finestra della sua aula e vide pini che alzavano le braccia, uccelli operosi, gradini che sembravano note musicali. E capì.

Capì che Lelè gli aveva insegnato il segreto più importante del mondo: come trasformare l'attesa forzata in arte dell’immaginazione.

Ora, quel bambino diventato adulto, quando si trova davanti a una finestra a volte se ne ricorda e sussurra: "Grazie, Lelè. Mi hai insegnato che l'infinito non abita nei posti grandi, ma negli anfratti del silenzio forzato.”

E se passate davanti alla vecchia scuola elementare di Montone, se guardate bene la finestra a sinistra della porta d'ingresso al piano terra, potreste ancora sentire l'eco di un bambino che fissa il cortile e scopre che l'infinito ha sempre la misura esatta del nostro sguardo costretto.

Epilogo dell'Apprendista Praticante dell'Assurdo

Così scopriamo che l'antidoto più imprevisto contro la tristezza del mondo porta il nome di una bidella dai capelli rossicci: Sindrome di Lelè, quella strana malattia benefica che trasforma l'imposizione in opportunità.

Basta una finestra e la pazienza di aspettare che l'immaginazione si svegli dal sonno forzato.

Il resto lo fa l'infinito, che abita sempre negli anfratti più stretti della nostra resistenza.

Medicina narrativa in forma di ricordo. Effetti collaterali: improvvise nostalgie creative e tendenza a ringraziare chi ci ha costretto al silenzio.


Perché Vi Ho Raccontato Questo

Ogni Apprendista Praticante dell'Assurdo ha la sua Lelè. Quella persona che, senza saperlo, ci ha insegnato l'arte di guardare dove nessuno guarda.

Per me è stata una bidella dai capelli rossicci in una scuola elementare di Montone, in Abruzzo. Per voi potrebbe essere stata un'insegnante, un nonno silenzioso o quel libraio che sembrava custodire segreti nascosti tra gli scaffali, tanto da costringervi a inventare storie su di lui.

La Sindrome di Lelè è questo: la benefica malattia che ci costringe al silenzio esteriore per far esplodere il carnevale interiore. È il virus dell'immaginazione che si trasmette attraverso l'imposizione della noia, la costrizione all'immobilità, l'obbligo di stare fermi mentre tutto il resto del mondo sembra potersi muovere.

Ma domani scoprirete come questa medicina si è evoluta. Come dalla finestra di una scuola elementare sia nato Messer Baldassarre Logorroico, il gentiluomo più verboso del panorama letterario italiano.

Perché se Lelè mi ha insegnato a guardare l'infinito negli anfratti, Baldassarre mi ha insegnato a trasformarlo in parole che curano.


Vi aspetto domani per le prime anticipazioni di "Baldassarre e il Rispetto" — il racconto che è tra i cinque vincitori di un concorso letterario (posizione finale da scoprire!).

Ma ora, se avete una finestra a portata di mano, prendete una pausa. Guardate fuori. E ricordate: l'infinito ha sempre la misura esatta del nostro sguardo costretto.

Un abbraccio dall'Apprendista Praticante dell'Assurdo in servizio permanente,
Fabiano


P.S. — Se anche voi avete una Lelè nella vostra vita, raccontatela nei commenti. Costruiamo insieme il primo archivio mondiale delle persone che ci hanno costretto all'immaginazione senza saperlo!

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