Il Racconto che Va in Battaglia



Baldassarre Logorroico in abiti vittoriani con spada dorata e la sua gatta filosofica Sesquipedale, protagonisti del racconto finalista al Premio Letterario Unitre Civitanova Marche

Stasera, alla Pinacoteca Moretti di Civitanova Marche, si scoprirà il destino di "Baldassarre e il Rispetto", finalista tra i cinque al concorso Unitre.

Ma prima di scoprire se le avventure del nostro gentiluomo logorroico avranno conquistato la giuria, voglio condividere con voi - per la prima volta in assoluto su questo blog - un estratto del racconto che tra poche ore affronterà il verdetto finale.


È la storia di una mattina particolare, in cui Baldassarre decide di tentare l'impossibile: parlare normalmente.





Estratto da "Baldassarre e il Rispetto"


Se esistesse un'unità di misura per la logorrea, Baldassarre Logorroico l'avrebbe fatta esplodere come un termometro in una sauna lessicale. L'uomo, quarantasette anni e trecentosessantacinque giorni (perché dire quarantotto sarebbe stato troppo prosaico per le sue labbra intrise di arcaismi), non parlava: declamava il menù della mensa come fosse l'Eneide, e quando gli capitava di starnutire, produceva citazioni di Dante a raffica.


La sua verbosità era così densa che gli uccelli facevano il giro largo sopra il suo palazzotto per paura di rimanere impigliati nelle sue frasi, mentre il suo barbiere era l'unico in tutto il borgo ad accettare pagamenti in metafore barocche e figure retoriche, per disperazione.


Quella mattina aveva deciso di tentare l'impossibile: parlare normalmente.


La sua via crucis della normalità iniziò dalla panetteria di Beppe.


"Un filone, per favore," disse con voce strozzata, come se stesse pronunciando un'eresia linguistica.


Beppe lo guardò sospettoso. In trent'anni di mestiere, aveva visto Baldassarre trasformare l'acquisto di una rosetta in un trattato sulla civiltà del grano. Questa brevità suonava sinistra.


"Un filone?" ripeté prudente, come chi parla a una bomba innescata.


Ed ecco che il tappo lessicale di Baldassarre saltò: "Un filone della vostra prelibata opera panificatoria, la cui fragranza mi rammenta le metodologie di cottura degli antichi forni romani, quando Apicio stesso teorizzava che la croccantezza della crosta fosse direttamente proporzionale alla..."


"Sono tre euro," sussurrò debolmente Beppe, interrompendo una dissertazione sul rapporto tra la doratura della crosta e il ciclo delle stagioni. "No, sa cosa? Due euro. Anzi, un euro e cinquanta... le faccio pure lo sconto se... Sa che c'è? Lo prenda, è offerto dalla casa, arrivederci!"


Baldassarre si bloccò a metà di un'analogia tra la mollica e il tessuto sociale della Grecia antica. Aveva fallito il suo primo tentativo di parlare normalmente.


"Mi perdoni," mormorò, per una volta davvero conciso. "Credevo di poter imprigionare un oceano in una tazzina da caffè."



La terza stazione del suo calvario quotidiano fu la farmacia.


Entrò con la determinazione di un crociato che si prepara all'ultima battaglia. Doveva solo ritirare delle ricette. Semplice. Normale. Umano.


"Buongiorno, posso aiutarla?" chiese la farmacista con un sorriso professionale.


"Avrei questa prescrizione del dottor Pilloloni..." riuscì a dire Baldassarre, estraendo con mani tremule il foglietto dalla tasca.


Lei studiò la ricetta con un sopracciglio elegantemente inarcato. "Oh, lei deve essere il paziente con l'eccesso di..."


Era il momento. Baldassarre sapeva che doveva limitarsi a un semplice "sì". Una sillaba. Un suono. Come aveva tentato quella mattina col panettiere.


"Affermativo, sono proprio io l'individuo la cui verbosità ha raggiunto livelli tali da necessitare di cure farmacologiche, anche se mi domando se esista davvero un rimedio galenico in grado di curare questa mia tendenza a trasformare ogni frase in un trattato, ogni risposta in un'enciclopedia, ogni..."


Si fermò di colpo, terrorizzato. L'aveva fatto di nuovo.


La farmacista inclinò leggermente la testa: "Interessante. Non capita tutti i giorni di incontrare qualcuno con una tale padronanza del linguaggio."


Baldassarre sentì il cuore fare una capriola. Era abituato alle fughe, alle scuse assurde, alle chiamate urgenti da elettrodomestici spenti. Non era preparato all'eventualità che qualcuno potesse effettivamente... apprezzarlo?


"Mi piace particolarmente il suo uso del termine 'galenico'," continuò lei. "Sa, ho fatto una tesi proprio sulla storia della farmacologia rinascimentale e..."


Fu in quel momento che il tappo lessicale di Baldassarre, già pericolosamente allentato, saltò completamente:


"OH DISPENSATRICE DI RIMEDI E DI SPERANZE, LA VOSTRA ERUDIZIONE BRILLA COME UN FARO DI SAPIENZA NELLA NOTTE DELL'IGNORANZA CONTEMPORANEA E IL VOSTRO SORRISO HA PROPRIETÀ CURATIVE SUPERIORI A QUALUNQUE PREPARATO DOVE LA MEDICINA E LA POESIA SI FONDEVANO IN UN ABBRACCIO ONTOLOGICO!"


Dietro di lui, una fila di clienti assisteva alla scena: una signora anziana si faceva aria con la ricetta, un ragazzino filmava tutto, sussurrando: "Questo diventerà virale!". Una madre copriva le orecchie al figlio come se le parole di Baldassarre potessero essere contagiose.


Dal retro della farmacia si sentì un tonfo sordo: il magazziniere era svenuto tra gli sciroppi per la tosse.


Baldassarre uscì dalla farmacia come un libro caduto da uno scaffale troppo alto. Era successo. Di nuovo. Come sempre. Peggio di sempre.


Fu allora che la vide.


Sesquipedale sedeva sul marciapiede di fronte, la coda avvolta attorno alle zampe con geometrica precisione, gli occhi fissi su di lui con quella sua espressione di sempre: non giudicante, non compatente, semplicemente... presente.


Lo aveva seguito. Lei che di solito si muoveva dal divano solo per cambiare posizione... sul divano.


Baldassarre si sedette accanto alla gatta, incurante della folla che ancora usciva dalla farmacia commentando la sua performance. Per la prima volta in vita sua, non sentì il bisogno di riempire il silenzio.


"Messer Baldassarre!" La voce della farmacista lo raggiunse come una campanella d'argento. "Ha dimenticato le sue ricette."


Si voltò, preparandosi all'ennesima umiliazione, ma trovò nei suoi occhi qualcosa di diverso.


"Sa," disse lei porgendogli i fogli, "non capita tutti i giorni di incontrare qualcuno che trasforma una prescrizione medica in poesia. È... rinfrescante."


Fu come se un intero dizionario etimologico gli esplodesse nel petto.


Balzò in piedi, dimentico di ogni proposito di normalità, e iniziò a danzare per la strada declamando: "OH GIORNO FAUSTO! OH SERENDIPICO INCONTRO! OH FARMACEUTICA MUSA CHE HAI SAPUTO VEDERE OLTRE LA SUPERFICIE DELLA MIA VERBOSITÀ PER SCORGERE L'ESSENZA DELLA MIA ANIMA LINGUISTICA!"


Sesquipedale lo seguì con passo regale. La gatta conosceva fin troppo bene quella che il suo padrone chiamava "la capacità felina di interpretare i segni del destino": nei prossimi giorni, ogni "Buongiorno, serve aiuto?" della farmacista sarebbe stato tradotto da Baldassarre in un "trattato sul corteggiamento farmaceutico-letterario".


Ma in fondo, pensò Sesquipedale mentre lo seguiva nella sua parata a una persona sola, era proprio questo il rispetto autentico: non pretendere che un dizionario si trasformasse in un bigliettino del buongiorno, o che un romanzo epico si riducesse a un breve tweet.


Il vero rispetto stava nell'accettare che alcuni parlassero con la semplicità di un sorriso, altri con il silenzio di uno sguardo felino, e altri ancora, come il suo padrone, con l'esuberanza di un'enciclopedia in festa.





 


Il Protagonista Commenta Se Stesso


Ebbene sì, cari e stimabilissimi lettori della Resistenza dell'Immaginazione, quello sventurato personaggio che ha attraversato le peripezie narrate nell'estratto sovrastante altro non è che il sottoscritto in persona!


Dopo aver degustato con sommo diletto intellettuale l'estratto del racconto che questa sera affronterà il giudizio della giuria presso la veneranda Pinacoteca Moretti (e sperando devotamente che i giudici possiedano maggiore resistenza lessicale del povero magazziniere della farmacia, il quale, come avrete letto, cedette ai vapori della mia eloquenza farmaceutica), sento prorompere dal mio petto il dovere morale di apportare alcune doverose correzioni biografiche al ritratto che Messer Fabiano ha tracciato della mia umile ma indomita persona.


Primo punto della mia precisazione protocollare: quando il buon Fabiano scrive che la mia verbosità è "così densa che gli uccelli fanno il giro largo", sta francamente indulgendo in quella che i retori chiamano "iperbole a fini comici". È successo una volta sola, e quell'aquila era chiaramente distratta da altri pensieri di natura ornitologica! Non è mia responsabilità se i volatili non possiedono l'educazione necessaria per apprezzare una dissertazione sul volo come metafora dell'elevazione spirituale!


Secondo elemento degno di chiarificazione: la descrizione del mio eroico tentativo di normalizzazione linguistica è dolorosamente accurata nel suo realismo narrativo. Ma vi domando, cari compagni di resistenza: è davvero così errato voler celebrare la bellezza intrinseca di un semplice filone? Non è forse riduttivo chiamare "filone" quello che è, in realtà, un miracolo di trasformazione alchemica dalla farina grezza al nutrimento dell'anima?


Terzo punto di suprema importanza esistenziale: la scena della farmacia rappresenta uno dei momenti più toccanti e significativi della mia esistenza letteraria. Per la prima volta nella mia carriera di conversatore compulsivo, qualcuno non è fuggito via sentendomi parlare, ma mi ha ascoltato con quello che oserei definire... apprezzamento intellettuale degno di un simposio platonico!


E qui, carissimi compagni della Resistenza dell'Immaginazione, si cela il vero messaggio filosofico del racconto: il rispetto autentico non consiste nel pretendere che tutti comunichino secondo i medesimi parametri di brevità contemporanea, ma nell'accettare e valorizzare le diversità espressive di ciascun individuo, proprio come un giardino botanico celebra la bellezza sia della rosa che della quercia, sia del giglio che dell'ortica.


Stasera scopriremo se questa filosofia dell'accettazione verbale avrà conquistato anche le menti illuminate dei giudici del concorso Unitre.


Ma intanto, desidero ardentemente sentire le vostre voci, o lettori della Resistenza: cosa ne pensate di questa avventura baldassarresca? Avete mai provato l'ebbrezza sublime di trasformare una commissione quotidiana in un'epopea linguistica? Vi invito caldamente a raccontarmi nei commenti le vostre esperienze di "verbosità involontaria" - prometto solennemente di rispondere con quella dovizia di particolari e ricchezza di subordinate che l'argomento merita!


E ricordate sempre, compagni d'armi nella battaglia per la bellezza: in un mondo che chiede sempre più brevità, essere prolissi è un atto rivoluzionario degno dei martiri della sintassi!

 

Messer Baldassarre Logorroico
Gentiluomo di Verbosità sul Silenzio
Protagonista del racconto in gara e Membro Attivo della Resistenza dell'Immaginazione



P.S. - Questa sera, durante la premiazione, Sesquipedale e io terremo le dita incrociate (lei le zampette, io le dita) per il nostro racconto. Qualunque sia l'esito, sarà comunque una vittoria per la causa della Resistenza dell'Immaginazione!


P.P.S. - Se il racconto dovesse vincere, Baldassarre ha già minacciato di scrivere un "trattato di ringraziamenti in sette volumi". Se dovesse perdere, ha promesso un "saggio sulla sublime bellezza della sconfitta letteraria in dodici capitoli". In entrambi i casi, siete avvertiti!


 

 

Fabiano Pirozzi

Umile cronista delle gesta baldassarresche

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