Estratto da "Il Soliloquio Stellare di Messer Baldassarre"

 

Illustrazione di un uomo elegante di spalle sul tetto di una casa, con giacca barocca e capelli argentei, che alza un braccio verso un cielo stellato con luna piena. Accanto a lui siede una gatta filosofica. Stile artistico poetico con colori blu profondi e dettagli dorati.


(Quando le stelle diventano l'unico pubblico disposto ad ascoltare)


Cari compagni di resistenza dell'immaginazione,

oggi vi offro un estratto da una delle cronache più poetiche di messer Baldassarre Logorroico: quella notte in cui, esasperato dalla sordità umana, scoprì che l'universo stesso può diventare il palcoscenico perfetto per un cuore troppo verboso. Questo racconto, che ha conquistato il secondo posto al Premio Colsalvatico 2024 per la narrativa umoristica, rappresenta uno dei momenti più alti dell'arte baldassarriana di trasformare la solitudine in poesia cosmica...





Una sera, frustrato dalla penuria di orecchie umane disposte ad ascoltarlo, Baldassarre decise di rivolgere le sue dissertazioni alle stelle. La giornata era stata particolarmente crudele: anche il fornaio Beppe lo aveva abbandonato a metà di una dissertazione sulla storia dei forni ("Qual mirabil congegno, simile al crogiuolo alchemico ove si trasmuta la vile farina in oro commestibile!"), dileguandosi più veloce di un soufflé che si sgonfia con la scusa del pane che si carbonizzava.


Non che Baldassarre se ne accorgesse davvero. Nel suo mondo intessuto di perifrasi e iperboli, ogni sguardo sfuggente era un invito al dialogo, ogni porta sbattuta un applauso alla sua eloquenza.


Ma quella sera qualcosa era diverso. Il silenzio di Verbosità sul Silenzio pesava su di lui come una coperta di piombo intessuta di indifferenza. Salì dunque sul tetto del suo palazzotto, seguito fedelmente da Sesquipedale che sperava in un'improvvisa pioggia di sardine, e iniziò la sua arringa celeste:


"O voi, fulgide gemme incastonate nel velluto del firmamento, prestatemi cortese udienza! Poiché gli abitanti di questo borgo, la cui ottusità intellettiva è pari solo alla loro scarsezza di garbo, si sottraggono al nettare delle mie locuzioni, sia a voi, o remote sfere incandescenti, che io rivolgo il flusso del mio eloquio!"


Le stelle, va detto, ascoltarono con pazienza infinita. D'altronde, quando hai miliardi di anni, anche un monologo di sette ore sembra una pubblicità televisiva.


Baldassarre sentì finalmente di aver trovato il suo pubblico ideale: infinitamente distante, silenzioso e, soprattutto, incapace di fuggire. Le sue parole si levavano verso il cielo come vapore di passione verbale, unendosi alla Via Lattea in una galassia di verbosità pura.


"Oh stelle mie care," continuò, il cuore gonfio di una commozione cosmica, "voi che vegliate sui destini degli uomini e testimoniate le loro follie, comprendete forse il tormento di chi ha troppo da dire in un mondo che ha perduto l'arte dell'ascolto?"


E mentre parlava, qualcosa di magico accadde. Una stella cadente attraversò il cielo proprio sopra di lui, come se l'universo stesso stesse annuendo alla sua lamentela. Baldassarre la interpretò come il primo vero applauso della sua vita.


"Ah!" esclamò, con le lacrime agli occhi. "Finalmente qualcuno che apprezza! Ecco la standing ovation che attendevo da una vita!"


Fu così che Baldassarre scoprì la verità più profonda dell'esistenza: a volte, per essere compresi, bisogna alzare lo sguardo così in alto da dimenticare chi non vuole ascoltare. Notte dopo notte, le sue orazioni si levavano verso il cielo, e lui si sentiva finalmente a casa: in un teatro cosmico dove ogni parola aveva il sapore dell'eternità.


Gli abitanti di Verbosità sul Silenzio, nel frattempo, avevano imparato a dormire con i tappi nelle orecchie, sognando un mondo fatto di monosillabi e gesti eloquenti.


E Sesquipedale? Oh, lei aveva scoperto che sdraiarsi sulle pergamene di Baldassarre, strategicamente posizionate vicino al camino, era molto più confortevole che ascoltare. Dopotutto, anche per una gatta, a volte il silenzio è d'oro, soprattutto quando è tappezzato di vocaboli in letargo.


Ma per Baldassarre, quella notte segnò una rivelazione: aveva trovato nell'universo il confidente perfetto. E ogni sera, quando la luna sorgeva come un punto interrogativo argenteo nel cielo, lui sapeva che da qualche parte, tra costellazioni e nebulose, le sue parole continuavano a viaggiare, portando un po' di terra verbosa nell'infinito silenzio dello spazio.






P.S. Se anche voi, come Baldassarre, avete mai sentito il bisogno di parlare alle stelle, fatemelo sapere nei commenti. E se per caso qualche stella vi ha mai risposto... beh, quella è una storia che vale la pena raccontare!

 

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