Il Soliloquio Peregrino
Chris camminava con quella flemma esistenziale di chi ha capito che correre non serve, tanto il tempo ti raggiunge sempre alle spalle, ti annusa e poi ti sorpassa fischiettando. Ma oggi i suoi pensieri avevano una consistenza particolare: si materializzavano come bolle di sapone trasparenti che fluttuavano sopra la sua testa, ognuna contenente una piccola scena della sua vita precedente.
Il paese dormiva quella dormiveglia delle quattro del pomeriggio, quando persino le ombre fanno la siesta e i pensieri si afflosciano come gelati dimenticati al sole. Ma Chris notò che le ombre, in realtà, lo stavano seguendo. Non la sua ombra - quella si comportava normalmente - ma tutte le altre. Come se avessero sviluppato una curiosità morbosa per la sua storia.
Pavlov, pensò all'improvviso mentre passava davanti alla macelleria chiusa, e subito una delle bolle-pensiero scoppiò rilasciando l'aroma di carne e condizionamento. Proprio quello con i cani e le campane doveva venirgli in mente? Il campanello della macelleria, sentendosi chiamato in causa, suonò spontaneamente. Due volte. Come per salutare.
"La fedeltà," mormorò Chris al lampione spento, "è l'unica forma di libertà che conosco. Paradossale, no? Più sei legato, più sei libero di essere te stesso."
Il lampione, colto di sorpresa da tanta profondità filosofica, si accese per un attimo. Poi si spense, imbarazzato. Non era abituato a conversazioni così intellettuali, di solito si limitava a illuminare ubriachi che tornavano a casa cantando.
Un piccione lo guardò dall'alto di un cornicione con quell'aria di superiorità che hanno tutti i volatili verso chi non sa volare. Chris ricambiò lo sguardo, e il piccione, sorpreso da tanta apparente dignità, gli fece un inchino rispettoso. Era la prima volta in vita sua che qualcuno lo guardava senza invidia per le sue ali.
La Solitudine di Chris aveva assunto una forma fisica durante quei tre mesi: era diventata una piccola nuvola grigia che lo seguiva ovunque, piovigginando lievemente sui suoi pensieri più tristi. Ma oggi la nuvola sembrava più leggera, quasi elettrizzata dall'aspettativa.
Lei viveva due isolati più in là. Chris poteva già sentirne la presenza, quel misto di lavanda e malinconia che emanava da quando lui se n'era andato. Le sue orme sul marciapiede iniziarono a brillare leggermente, come se il suo amore per lei le stesse illuminando internamente.
"Call me a dog," gli venne in mente quella canzone che lei ascoltava sempre, e all'improvviso tutte le radio del quartiere la iniziarono a trasmettere simultaneamente. Un coro urbano che accompagnava il suo pellegrinaggio del cuore.
Passò davanti al parco dove una volta aveva seppellito il suo tesoro più prezioso. L'erba sopra quel punto cresceva più verde, nutrita dai ricordi sepolti. Era qualcosa di più semplice e insieme più complesso di un libro: un ricordo fatto materia, di quelli che ti tengono compagnia quando la solitudine ti morde lo stomaco con denti veri.
"Sai qual è il problema degli umani?" disse a un gatto che lo osservava da un muretto. Il felino, invece di ignorarlo come fanno di solito i gatti, si sedette composto e sembrò davvero interessato alla risposta.
"Credono che l'amore sia complicato. Tutte quelle parole, quei drammi, quei 'dobbiamo parlare'. L'amore è semplice: presenza. Tu ci sei, io ci sono, il resto è rumore di fondo."
Il gatto annuì saggiamente, poi tradusse il concetto con un miagolio che suonava come una citazione di Leopardi. Anche lui, evidentemente, aveva sofferto per amore.
La Fame di Chris si era trasformata in una piccola creatura trasparente che gli camminava accanto, sussurrandogli ricette impossibili: "Briciole di compassione con contorno di orgoglio in agrodolce". Ma oggi la creatura sembrava distratta, come se avesse capito che il vero nutrimento era un altro.
Si fermò all'angolo. Da lì poteva vedere la finestra della cucina. Lei era seduta al tavolo, le spalle curve su quello che sembrava... una sua fotografia? Piangeva, e Chris sentì qualcosa rompersi dentro, non metaforicamente, proprio fisicamente. Un piccolo crac, come quando si spezza un biscotto del cuore.
La nuvola della Solitudine iniziò a dissolversi. Le bolle-pensiero si fecero più leggere. Persino la Fame smise di brontolare ricette impossibili.
Era ora di decidere. La libertà del vagabondo o la dolce prigione dell'amore? Come se fosse davvero una scelta. Il marciapiede sotto i suoi piedi iniziò a tracciare una freccia luminosa verso la porta di casa.
"Nothing but a hound dog," sussurrò, ed Elvis improvvisamente ebbe più senso di tutti i filosofi del mondo. Tutte le stelle del primo pomeriggio (invisibili ma presenti) si allinearono in segno di approvazione.
Con quella verità semplice e devastante nel petto, Chris smise di pensare e iniziò semplicemente a essere. Le sue impronte iniziarono a lasciare piccoli fiori sul cemento mentre si avvicinava alla porta.
Il campanello era irraggiungibile, lo era sempre stato, posizionato all'altezza perfetta per un giocatore di basket o una giraffa con problemi di socializzazione.
Allora fece l'unica cosa che sapeva fare quando le parole non bastavano: si sedette davanti alla porta e aspettò. Aspettò con quella pazienza infinita che solo chi ha rinunciato a controllare il tempo possiede. Aspettò mentre il sole iniziava la sua discesa teatrale verso l'orizzonte.
La nuvola della Solitudine finì di dissolversi completamente, trasformandosi in una leggera brezza profumata di speranza.
La porta si aprì all'improvviso, come se lei avesse sentito la sua presenza attraverso il legno, la vernice e tutte le dimensioni parallele dell'amore. Lo guardò, gli occhi una geografia di dolore e speranza che si stavano ridisegnando in tempo reale.
"Chris," disse, e in quella singola parola c'era un'intera conversazione: rimprovero, sollievo, amore, rabbia, perdono. E anche una piccola nota musicale che solo i cuori che si ritrovano sanno suonare.
Chris la guardò, e tutto il suo soliloquio peregrino si condensò in quello sguardo. Si alzò lentamente, le zampe un po' rigide per l'attesa, ma il cuore elastico come una molla di gioia - e fece un passo avanti, poi si fermò. La decisione doveva essere sua. Sempre.
Lei si inginocchiò. Le lacrime ora si mescolavano a qualcosa che assomigliava a un sorriso, creando sul suo viso l'arcobaleno più bello che Chris avesse mai visto. Gli accarezzò la testa, trovando istintivamente quel punto dietro le orecchie che lo faceva sciogliere come neve al sole di primavera.
"Stupido cane," disse tra singhiozzi e risate, "stupido, meraviglioso cane. Dove diavolo eri finito?"
E Chris, finalmente a casa, lasciò che quella coda che aveva ignorato per tutto il racconto prendesse vita propria, scodinzolando con l'entusiasmo di chi sa che certe verità sono troppo semplici per essere dette subito, ma troppo importanti per essere taciute per sempre.
Perché l'amore, quello vero, non ha bisogno di parole complicate. Basta presenza: una coda che si muove disegnando arcobaleni nell'aria, una mano che sa dove accarezzare, e la certezza che casa non è un posto, ma un cuore che ti aspetta anche quando il mondo intero sembra aver perso la capacità di stupirsi.
Sopra di loro, invisibile ma reale, l'ultima bolla-pensiero di Chris si dissolse dolcemente, liberando nell'aria il profumo di tutte le storie d'amore che finiscono bene.
Fine
P.S. del lampione filosofo: "Ho riflettuto a lungo su questa storia, tra un'accensione e l'altra. E ho capito che tutti noi, cani, umani, lampioni che si rispettino, abbiamo bisogno di qualcuno che ci aspetti al ritorno. Anche se siamo solo oggetti di ferro che fanno luce nella notte."
In memoria di Chris Cornell, che sapeva trasformare il dolore in bellezza
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